Parte 2
Il posto fisso è spesso associato a un lavoro sicuro e senza preoccupazioni, al riparo dal rischio. Ma è davvero così? Analizziamo insieme origini e sviluppo del mito del "posto fisso" in Italia
Il lavoro è una parte centrale della nostra vita. Ne contiene tutti gli aspetti, comprese delusioni, cadute e fallimenti: scopriamo come neanche il posto fisso ci metterà mai al riparo.
Mi rendo conto che quando si introduce un cambiamento non ci si può aspettare un consenso unanime.
Ma non si fanno gli interessi dei lavoratori difendendo un sistema di relazioni industriali che non è in grado di garantire che gli accordi stipulati vengano effettivamente applicati.
Condivido che i diritti di tutti, a prescindere dalla categoria sociale di appartenenza, costituiscono la base di una comunità civile.
Ma oggi viviamo in un’epoca in cui si parla sempre e solo di diritti. Il diritto al posto fisso, al salario garantito, al lavoro sotto casa; il diritto a urlare e a sfilare; il diritto a pretendere.
Lasciatemi dire che i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati.
Se però continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo.
Perché questa “evoluzione della specie” crea una generazione molto più debole di quella precedente, senza il coraggio di lottare, ma con la speranza che qualcun altro faccia qualcosa.
Una specie di attendismo che è perverso ed è involutivo.
Per questo credo che dobbiamo tornare a un sano senso del dovere, consapevoli che per avere bisogna anche dare.
Bisogna riscoprire il senso e la dignità dell’impegno, il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione, dell’oggi e soprattutto del domani.
Posto fisso e lavoro sicuro, creazione di una mentalità
Dicevamo nella parte 1 che il lavoro non è una torta da spartire, che il lavoro si produce, si crea, semplicemente si sposta da un settore all’altro, da una skill a un’altra.
In Italia esiste la monocultura del “lavoro sicuro” abbinata al concetto del posto fisso. Sono anni che ci iniettano il virus che il posto fisso sia la panacea di tutti i mali, come il sacro Graal della vita da sogno.
E allora mi chiedo come si fa a parlare di sicurezza OGGI con la rivoluzione cosmica in corso, dove gli stati stessi non sono al sicuro. Quale lavoro è al sicuro? Un contratto a tempo indeterminato? Non ci mette comunque al riparo da possibili fallimenti della società.
Per anni e generazioni ci hanno allevato con la mentalità del fissismo che si trasforma in un fissismo mentale e quando ci troviamo a quarant’anni senza lavoro pensiamo che non possiamo più imparare niente di nuovo.
Fissati sul lavoro di serie A e sul lavoro di serie B, C, D e F, come se ci fosse un élite di privilegiati che è più al sicuro di altri.
Lavoro "fisso" o "fermo"?
FISSO…SICURO, pensate all’importanza di questi due sostantivi. Seguitemi:
– Fisso vuol dire che è fissato come un chiodo al muro, che non potrà mai spostarsi, cambiare e migliorare. È stato messo li in quel preciso punto e li rimarrà.
– Fermo presuppone che prima mi muovo e poi successivamente posso fermarmi, ricominciare a muovermi e fermarmi.
La sicurezza del posto di lavoro
Continuiamo ad analizzare le parole: l’etimologia della parola “sicuro” in latino è se-curum, senza preoccupazione. L’idea è quindi che il lavoro sia “senza preoccupazioni”, puntiamo al futuro e lo vogliamo senza preoccupazioni, facciamo figli e li vogliamo senza preoccupazioni. Siamo condizionati dalla ricerca della sicurezza e la cerchiamo appoggiandoci agli altri, stato, famiglia, amici nella speranza che ci sia sempre qualcun altro che si prenda le responsabilità al posto nostro.
E allora, perché ci spingiamo in questa direzione (perché nessuno si sveglia una mattina e decide di pensare in un determinato modo o di preoccuparsi per qualcosa)?
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La paura del futuro.
È nella natura umana. La cultura italiana è dominata da conflittualità interne (noi contro di loro), da lamentele e dalla presenza costante della “crisi”. Da sempre sentiamo questa parola rimbombarci nelle orecchie.Siamo in uno stato di crisi permanente e non pensiamo che ai giovani di oggi vengono dette le stesse identiche cose che dicevano a noi 20 anni fa, 30 anni fa e 40 anni fa. Vi ricordate quello che ci dicevano?
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La mancanza di fiducia nelle proprie capacità
Che diventa anche un alibi per non impegnarsi. Nessuno si mette mai alla prova, la paura del fallimento è un sentimento che ci ha cullato fin da piccoli “se non sei bravo a scuola non avrai le caramelle”, come a voler premiare capacità che un bambino potrebbe non avere sviluppato, come se sbagliare una cosa volesse significare sbagliare tutto, essere sbagliato totalmente.
Se faccio male una cosa, è quella cosa che non è riuscita bene, non tutta la vita e soprattutto non è la persona che è sbagliata, solo quell’azione, in quella determinata situazione, in quel preciso momento. Il fallimento è circoscritto ad un’attività non riuscita, non è la persona un fallimento.
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Il terrore del rischio personale
dover investire in prima persona in quello che facciamo e su noi stessi. È vero fare azienda in Italia è complesso in termine di visione, percezione, burocrazia. Le aziende sono tartassate da tasse e contributi.
Prendere in considerazione di basare le proprie soddisfazioni personali, economiche e professionali sui propri sforzi è un taboo! Il dover produrre per guadagnare di più spaventa, anche se tutti vorrebbero “meritocrazia” personale (e soggettiva, io sono bravo senza doverlo dimostrare, premiatemi!).
Davanti alla valutazione oggettiva, cioè analisi di numeri raggiunti, non ci si vuole mettere nessuno. Siamo troppo abituati a ricevere senza fare sacrifici e senza dimostrare quanto valiamo, siamo fossilizzati sul diritto acquisito ad avere, senza pensare che il dover fare per ottenere si trova sulla stessa lunghezza d’onda del diritto.
Conclusioni
La tipologia di lavoro è su una scala di valori, alcuni di questi occupano le prime posizione, altre sono più in basso.
Il “classismo” del tipo di lavoro è un problema che deriva dalle tutele e dal tipo di azienda.
Non siamo liberi di fare il lavoro che vogliamo perchè i pregiudizi che ci viaggiano in torno precedono la valutazione di quel tipo di lavoro.
La realtà è che esistono tantissime opportunità di lavoro che devono essere tutte sullo stesso piano, che sia l’impiegato statale, che sia il surfista, che sia una start up. Prescindono dai soldi, dalla fama, dal successo.
L’importante è che sia l’opzione giusta per la persona e che questi lavori vengano messi tutte sullo stesso piano attraverso una comunicazione corretta su quello che rappresentano. Troppo spesso si esprimono opinioni che traggono in inganno chi deve decidere per il proprio futuro.
Non sarebbe già questo un modo per rendere le persone più felici? Più soddisfatte? Più tranquille?